Traduce o non traduce?

Dicono che durante uno dei primi esperimenti di traduzione automatica, la frase in inglese the spirit indeed is willing, but the flesh is weak — e cioè "infatti lo spirito è forte, ma la carne è debole" — tradotta in russo e ritradotta in inglese, abbia prodotto the vodka is really strong, but the meat is rotten, ossia "la vodka è davvero forte, ma la carne è guasta."

Non ho trovato da nessuna parte la conferma dell’episodio, che probabilmente è una delle tante leggende metropolitane diffuse nei primi tempi in cui si stava sviluppando la tecnologia del computer — d’altra parte bisogna riconoscere che se non è vera è ben trovata, perché illustra chiaramente e sinteticamente molti dei problemi con cui ci si scontra nel tentativo di automatizzare operazioni linguistiche estremamente delicate; basta pensare a "carne" che in inglese è flesh quando è viva e meat quando è cibo.

L’episodio mi è tornato in mente sabato 13 settembre 1998, durante la trasmissione televisiva dei funerali di Madre Teresa di Calcutta. Una delle interpreti simultanee ha tradotto una delle preghiere che sono state recitate, e che diceva, più o meno (cito a memoria)... "Donale o Signore la quiete eterna e sia illuminata per sempre..." Qui però si chiedeva non di interpretare il testo inglese, ma di riconoscere il Requiem Aeternam e di usare la formula italiana corrispondente: "L’eterno riposo dona a lei o Signore..." La maggior difficoltà nel tradurre e nell’interpretare consiste a volte nell’individuare i riferimenti culturali e le citazioni per restituirle nella loro forma autentica o consueta.

Madre Teresa sapeva fare un uso estremamente essenziale della lingua inglese. Ne ero rimasto colpito durante un incontro a San Siro promosso dal Cardinale Colombo in difesa della vita. Si capisce che se l’interiorità è ricca, anche un’albanese trapiantata in India sa piegare una lingua non sua perché esprima la profondità dell’anima. Ho ritrovato quella essenzialità durante la cerimonia funebre, osservando il Crocefisso che era accanto alla bara e che si trova in tutte le case delle Missionarie della Carità. Dal Crocifisso pendono due scritte in inglese: I THIRST "ho sete" e YOU DID IT FOR ME "l’avete fatto a me." Parlo di essenzialità perché nel primo caso ha scelto di conservare una traduzione antica della Passione secondo Giovanni — oggi si direbbe I am thirsty per "ho sete," ed è così che lo si ritrova nelle versioni moderne, mentre la seconda è una traduzione recente del Vangelo di Matteo, molto più chiara e diretta del vecchio you have done it unto me.

Saranno dettagli, ma mi piace pensare che lo Spirito di Dio agisce anche suggerendo le versioni in inglese più capaci di colpire il cuore e imprimersi nella mente.